ripropongo un ricordo: il Diario della tournee a Parigi del 2009

Questo diario è da intendersi come il breve resoconto di una tournee, svolta a Parigi con il gruppo "Etnikòs" nel Settembre 2009. Un modesto tentativo di “fermare” alcune sensazioni ed impressioni. Del testo, scritto principalmente in movimento: treno, metropolitana, taxi, ho voluto senza particolari correzioni o rifacimenti mantenerne la spontaneità. Il desiderio è di condividere suoni, visioni ed esperienze.  

 

 

Domenica 20 Settembre
In viaggio per Parigi, un treno Tgv che rapido sfreccia tra paesaggi che cambiano rapidamente, quasi impossibile afferrarli, gustarne il sapore, capirne il colore profondo. Scegliamo di partire in treno anziché in aereo, che permette di cogliere una visione dall’alto e aperta delle cose mancando però del senso di movimento, del significato intrinseco di “viaggio”. Ieri lo strano, breve concerto in Piazza Loggia a Brescia, grandi casse, luci accecanti, ridicoli effetti fumo e gli Etnikòs, il nostro mondo musicale, incastrati tra dubbi cantanti colorati su basi preregistrate ed idee di musica che parlano di questa società in declino; la musica però fluiva soffice o spigolosa, profumata di un profumo arcano, che portava via, sguardi che appena ti sfiorano, di chi insegue qualcuno mentre insegue se stesso.Dopo il concerto la gente cordiale, il vociare rauco, la musica che si faceva stordente e commerciale, un po’ attutita nei pensieri di chi parte e chi rimane a cercare il proprio mare dentro. Musicisti e cantanti poi tutti in un posto dove conversare tranquilli attraverso un bicchiere di vino, poi tre ore di sonno prima dell’alba, alba di stazione con le mani e le spalle cariche di strumenti, i volti deserti, assonnati e l’aria fresca appena persa nel caffè, aria che si può annusare solo quando si parte per un viaggio importante.
Il viaggio lungo ma piacevole, otto ore in compagnia delle parole di Davide e delle pagine straordinarie di Ambrose Bierce, le tanto ricercate e trovate nei fondi fuori catalogo di una strabordante libreria “storie di soldati e civili”, delle quali soprattutto “Chikamauga” mi è entrata sotto la pelle, l’orrore della guerra trasformato in gioco dall’innocenza dello sguardo di un bambino, capolavoro di un grande autore ingiustamente dimenticato.
Eccomi a Parigi per la seconda volta! All’arrivo la città si presenta stranamente calda e soleggiata, immediata l’impressione di sordido degrado che la città trasuda sotto l’apparente cliché romantico.....Awena e Daniel sono ospiti affettuosi anche se molto presi da Eli, il loro bambino nato solo un mese e mezzo fa. M’intrattengo con Daniel curioso di sapere di loro e di suo padre, il regista Moshre Mizrahi, uno spasso ascoltare di come il premio oscar da lui vinto negli anni ottanta e custodito nella casa di Tel Aviv si sia completamente annerito perché realizzato in finto oro, come spesso accade quando si ha a che fare con la cultura americana, sotto la superficie.La casa è nel pieno centro di Parigi ed è famigliare, accogliente e bohemienne quanto basta, dalle finestre della mia camera riesco quasi a toccare le guglie di Saint Eustache, chiesa seicentesca dal fascino indiscutibile.Una piccola jam session a base di jazz mentre Bonetti sparisce per una po’ di musica di strada, poi verso la senna al quartiere latino;  musica ovunque: nella chiesa un concerto di musica d’avanguardia organizzato dall’IRCAM, un quartetto manouche infilato in un bistrot, a Beauburg un suonatore di oud probabilmente egiziano, un sonoro bouzuki in una taverna greca dove, mentre sorseggiamo ouzo, si scatena una piccola rissa con tanto di intervento della gendarmerie, ma i suonatori imperterriti non muovono un muscolo del viso, sono evidentemente usi a questo tipo di episodi. Sembra essere il denso inizio di un soggiorno che si prospetta interessante. 

 

Lunedì 21 Settembre
La mattina inizia tardi per me, ma è profumata di caffè e aromi da balcone, i simpatici e strani suoni di Eli, negli occhi i tetti grigi e asimmetrici che sono tra le cose più godibili della città, sotto le dita barba lunga e sbadiglio da buon risveglio. La mattina passa chiacchierando amabilmente, poi nel pomeriggio arriva il momento della prima esibizione, suoneremo, ci dicono, per delle persone anziane in rue des Abondances, uno dei concerti più “impegnativi” come Awena ci annuncia. Ad attenderci gli organizzatori dell’associazione Tournesol, serio ente impegnato nella realizzazione di eventi culturali in spazi di attenzione sociale. Il luogo è una splendida struttura in stile liberty, piena di passaggi coperti, vetrate inghiottite nel ferro battuto, tenui giardini dettagliati e dall’atmosfera rilassante. Ad accompagnarci Elizabeth e Julie di Tournesol più un altro paio di ragazze di Les Abondances. Suoniamo due diversi set, nel primo Madame et Monsieur allargano i sorrisi ed illuminano i loro occhi tra frenetici ritmi balcanici ed il suono aspro e mediterraneo del bouzuki, la musica si libra e sfiora quelle orecchie un po’ attutite, portando gli ascoltatori, spero, per qualche momento al di fuori di quelle mura bianche e silenziose. Il secondo set è quello difficile, si capisce già dall’oscurità del corridoio che conduce ad una porta, chiusa a chiave, chiusa a chiave perché da li pare che alcuni ospiti si ostinino a voler scappare.  E’ la zona dove risiedono le persone più anziane, molte delle quali ammalate del morbo d’Alzheimer. Alcune di loro sono calme, immobili, silenziose, altre si aggirano per i corridoi come spettri, immagini sfuggenti di un ricordo sognato, una signora inglese dai lunghi capelli candidi, la cui figura diafana scorta nell’oscurità rimarrà per sempre impressa nella mia mente. Suoniamo per loro e le reazioni sono diverse: chi urla, chi parla con un interlocutore invisibile, chi danza una danza di strani gesti, chi è arrabbiato e resta zitto e basta. Dopo dieci minuti di suoni il silenzio e l’attenzione aumentano, diversi sembrano gradire la visita musicale, mi prende un sentimento di tenerezza per questi individui e per la lotta che sembrano intraprendere allo scadere del loro tempo, sospeso ad un filo di follia che disorienta chi è lontano e vorrebbe comprendere. Li salutiamo con una punta di tristezza che abbassa lo sguardo e ci infiliamo in un caffè dove le organizzatrici, tra francese, italiano ed inglese si dichiarano soddisfatte di noi e delle reazioni di chi ha voluto ascoltarci. Il giorno si spegne poi tra le vie notturne della città, che tra gli aromi visionari del cognac spinge a vivere l’intensità di questa vita, la cui scadenza è tanto vicina quanto poca è la nostra percezione di essa.  

 

Martedì 22 Settembre
La giornata si prospetta intensa, il nostro secondo servizio sociale sarà all’ospedale Saint Louis, in una zona esterna del centro, vicino al famoso canale Saint Martin, dove, credo, Robert Bresson abbia girato qualche sequenza di “…il diavolo probabilmente”. L’atmosfera li è molto diversa, più vera nella sua realtà poetico/urbana: strade più sporche, palazzi che lasciano trapelare sinceramente i segni del tempo, traffico, gente colorata, niente vestiti superchic, niente coppiette d'elegantoni che danzano a piedi nudi nel prato di fronte al Louvre, forse sentendosi in un banale film con Richard Gere, persi nella loro città di sogno, mentre appena sotto di loro, nella Senna, ragni e grossi topi scivolano nell’oscurità. L’ospedale è una struttura stupefacente, all’apparenza un grande palazzo del ‘600, quasi un castello, cupo, decadente, grigio, stavolta i tetti sono talmente alti e spioventi che sembrano cadere dal cielo mentre gli abbaini dalle forme più fantasiose ci osservano chissà da che strana angolazione. E’ esattamente come ho immaginato una casa d'internamento come la Bicetre, descritta nella “storia della follia” di Foucault, infatti, successivamente, ritrovando il libro, la scopro citata e descritta nell’opera. Troviamo gli uffici di Tournesol, lì ci accoglie Sophie-Anne, è molto gentile con noi, ma il suo viso parla in maniera velatamente eloquente del difficile lavoro a stretto contatto con i malati ed i disagiati. Dovremo suonare ed entrare in contatto con persone, soprattutto bambini, affetti da gravi malattie del sangue come la leucemia, in questa fase della cura si trovano isolati, anche per mesi, nell’intento di ricostituire le difese immunitarie; quindi dovremo lavarci le mani di continuo, indossare mascherine, grembiuli, soprascarpe e cambiarci ad ogni visita. In alcuni casi i pazienti saranno divisi da una tramezza in materiale trasparente. Sophie-Anne ci mostra un filmato riguardante il progetto e le sue finalità, sembra che la musica, il teatro e le altre forme d’arte diano un notevole supporto psicologico a chi si trova in situazioni di disagio o isolamento; è forse davvero possibile che la musica, anche solo per un attimo, possa mettere in contatto chi l'ascolta con il divino che si cela nel profondo? Ci avviamo, Sophie-Anne ci rassicura informandoci che nel “castello” sono collocati solo gli uffici amministrativi, i pazienti alloggiano nella struttura moderna appena fuori le mura; l’ala dell’ospedale dove suoneremo è raccolta, abbastanza accogliente grazie alle luci basse ed ai colori tenui, per fortuna niente più ricorda le ricostruzioni storiche di Focault. Per riscaldarci, accordare gli strumenti e rompere il ghiaccio suoniamo un paio di brani per il personale dell’ospedale, spezziamo la tensione facendo scoprire i denti a qualche viso stanco poi ci dirigiamo nella prima camera, steso sul letto un ragazzino di colore, Yaya, 11 anni, ha l’aria un po’ abbattuta, rimane steso, lo vedo fare un debole sorriso attraverso la tenda trasparente; gli parliamo presentandoci e chiedendogli qualcosa di lui, appena iniziamo a suonare i suoi occhi s'illuminano progressivamente, vuole sentire un altro brano, poi un altro, chiede informazioni sugli strumenti, preferisce sentire l’oud, poi vuole risentire la fisarmonica, poi ancora l’oud, secondo la nostra accompagnatrice avremmo potuto rimanere fino alla sera, difficile andarsene sentendo questo grande desiderio di contatto. Ci cambiamo e dirigiamo in un’altra stanza, è una signora di mezza età, Sandrine, in compagnia della madre anziana, Sandrine è entusiasta dell’iniziativa, apprezza la musica e ci racconta qualcosa di lei, la simpatia è immediata, i sorrisi sono grandi, ci salutiamo tra fotografie e la signora anziana al limite delle lacrime. L’ultima nostra visita è ad una bambina di dieci anni che ha stupito tutti per acutezza e simpatia, si dichiara amante della musica e vuole conoscere ogni dettaglio degli strumenti che suoniamo, l’origine delle musiche, da dove veniamo, poi ci mostra le perline che utilizza per realizzare collane e braccialetti nelle ore della sua solitudine, ci tratteniamo a lungo in questa dimensione di piacevole intesa che porta lontano dalla sofferenza. All’uscita, nel parco del vecchio ospedale tante famiglie, bambini, un’atmosfera serena e solare, che solo accenna al rosa della sera, accarezza l’anima.
Torniamo velocemente a Les Halles, ad aspettarci Patrick, il percussionista che suonerà con noi nei prossimi due concerti sostituendo Beppe, rimasto a Brescia per un piccolo problema di salute. Patrick si presenta come una persona molto gradevole, parla unicamente in francese ma questo non compromette la comunicazione, quando si suona e si ha il feeling giusto tutto risulta chiaro e semplice; è un ragazzo alto dalla barba e dai capelli rossi, la battuta facile ed un tipico atteggiamento simpaticamente bohemienne. Bastano poche parole per intenderci, è un musicista evidentemente abituato a dover nuotare nella corrente di una città dal livello musicale altissimo, registra tutte le prove su di un laptop per poterle riascoltare e sugli strumenti si rivela estremamente dinamico e preciso, senza protagonismo riesce a cogliere lo spirito dell' Horo bulgaro o il 9/4 dello Zembekiko greco, mi informano che da tempo è batterista nei Caravan, gruppo di fama internazionale nel quale si combinano cose turche, staremo a vedere. 

 

 

Mercoledì 23 Settembre
La tarda e nuvolosa mattina si apre con il solenne suono dell’organo della chiesa di Saint Eustache, dalla mia finestra lo si può distinguere nitido ed evocativo. Nel primo pomeriggio il cielo sembra aprirsi regalando un poco di tiepido sole che colgo oziando a Beaubourg, tra gli artisti di strada, un trio di musicisti mongoli in costumi tradizionali crea stupefacenti diplofonie con la voce, mentre lo strofinare degli strumenti a corda porta lontano, a suggestioni di paesi remoti dell’immaginazione. Il concerto serale è a L’alimentation generale, club del quale conserviamo il bel ricordo del concerto fatto due anni fa. L’alimentation si trova in una zona periferica del centro, rue Timbault, che con la propria parallela formano un perimetro ricco di jazz club, locali e sale da concerto. Arriviamo con il metrò, il locale è accogliente e “creativo”, un ex magazzino riadattato, asfalto stradale come pavimento, tubi d’acciaio e arredamento di riciclo; la programmazione è intensa e piena di proposte interessanti, alla parete le locandine degli Etnikòs; Patrick ci aspetta alla porta, poco dopo si presenta il fonico ed i gestori. Lentamente il locale si riempie di gente e già dopo il sound check con il fonico dalla voce ruvida, prendiamo i primi contatti con un organizzatore e con gente interessata alla nostra musica. Il concerto è un successo! Sembra il pubblico apprezzi sinceramente, qui l’atmosfera è calda e affollata, tutti ascoltano rumoreggiando, tanti ballano, gli sguardi sono vivi e curiosi. La musicalità di Patrick è eccellente, Davide da il meglio di se; separiamo il concerto in due set, nella pausa conosciamo gente: attori della commedie, musicisti, appassionati di musica etnica, rivediamo alcune persone incontrate due anni fa e che avuta notizia del concerto si sono ripresentate, qualcuno entusiasta ci offre dei contatti e l’opportunità di tornare a suonare in nuovi spazi, qualcuno che dichiara di essere stato toccato al cuore verrà al concerto di domani e porterà nuovi amici, gli Etnikòs ora hanno un piccolo pubblico a Parigi! La sera s’inoltra coinvolgente nella seconda parte del concerto per perdersi nella notte parigina, notte che tempo fa diede origine ad un brano musicale. Tra Bordeaux e cognac, ci si adombra per una cattiva notizia e un po’ barcollanti ci si infila nelle arterie sotterranee della città, a casa incontriamo Daniel stanco e soddisfatto di una serata musicale in un jazz club, poi il sonno affonda nell’eco della metropoli. 

 

Giovedì 24 Settembre Dopo i fasti del giorno precedente la giornata si apre sonnolenta, movimenti rallentati davanti ad un tè giapponese, il contrappunto dato dal suono greve delle campane di Saint Eustache che riverberano dentro come le sensazioni della notte prima, un suono che si espande lento in quello strato del sentire che crea intercapedine tra coscienza ed incoscienza. L’ultimo concerto di questo nostro tour sarà al Samu Sociale Saint Michel, un rifugio per i senza tetto ed i dissociati dove le attività di Tournesol si svolgono con regolarità da qualche tempo. E’ un altro degli splendidi palazzi  che ornano il limitare del centro. Colonne imponenti, una facciata neoclassica sormontata da un orologio e vasti giardini ben curati. Incontriamo la responsabile del posto, poi Julie e Thomas con i quali ci accordiamo sulle questioni tecniche mentre aspettiamo il ritardatario Patrick che arriva in bicicletta. La saletta dove suoneremo è discreta, non una buona acustica ma accettabile, probabilmente nessuno si aspetta esattamente che musica stiamo per eseguire, gli atteggiamenti sono tra il sospettoso ed il curioso. Attacchiamo gli strumenti e suoniamo; al secondo brano già si aprono le danze, gente di tutti i colori, giovani, vecchi, clochard, disagiati sorridenti sì perdono in un grande battimani sui ritmi più improbabili, così suoniamo per più di un’ora nell’entusiasmo generale. Poi le parole della gente che si fanno storie, storie di vite travagliate in giro per il mondo; vogliono sapere dell’Italia, raccontare degli amici ancora la, sapere dove andremo, dove suoneremo. Casualmente ci imbattiamo nella festa in onore di un medico che si avvia alla pensione e allora cibo etnico, fotografie, ancora musica, gente gentile ed interessante. La serata si fa poi notte a le Chatelet, in un locale turco a fumare nel Narghilè tabacco alla mela, bere tè alla menta e carcadè ghiacciato, poi al solito Tambur per un cognac, verso un taxi troppo rapido sotto un cielo limpido di stelle e del respiro buono che da la musica, il viaggio e la gente.

 

Venerdì 25 Settembre

Giornata libera da impegni lavorativi, giornata del perdersi tra i brulicanti vicoli ebraici, dei fumetti detti bedè, del sole vivo e gli odori del giorno. La sera gli ultimi momenti in compagnia di Daniel, Eli, Awena e suo padre, cuciniamo noi italiani e con un velo di tristezza ci salutiamo scambiandoci abbracci, poi nel metrò verso Parmentier fino all’alba tra vino del Reno, lo Spleen di Parigi letto da una bella voce francese, gatti siamesi, oud triplicati e notturni taxi silenziosi. Due ore scarse di sonno ed il treno per l’Italia, per Brescia che sempre al ritorno si ritrova un po’ differente.